Porpora è il nome di un’estesa gamma di tinte rosse che virano dal rosa intenso al viola. Nel mondo antico erano i Fenici i più rinomati produttori di questo colorante che esportavano traendone grandi profitti anche se recenti studi attestano produzioni dislocate in più località del bacino Mediterraneo. Alcuni molluschi gasteropodi (Murex brandaris e Murex trunculus) pescati probabilmente per mezzo di ceste di vimini venivano deposti a spurgare in grandi vasche, si procedeva quindi alla rottura e all’eliminazione delle conchiglie e venivano fatti macerare per giorni con l’aggiunta di acqua salata quindi bolliti a lungo in contenitori di piombo. Il risultato finale di questo processo estremamente maleodorante era una tintura in cui si potevano immergere tessuti di lana o seta insieme a sostanze che servivano da mordente, soprattutto l’allume di rocca, ottenendo colorazioni più intense a seconda della durata o della ripetizione dell’immersione e soprattutto indelebili, infatti non sbiadivano per effetto della luce ma anzi acquistavano nuovi riflessi. Rari e preziosi i tessuti purpurei erano associati nel mondo antico alla regalità e alla dimensione del sacro e ancora oggi è il colore dei porporati ovvero dei cardinali. La tintura fissata su farina fossile veniva utilizzata in pittura come pigmento adatto a diverse tecniche ma non all’ affresco. In miniatura tingeva le pergamene di preziosi codici, cosiddetti codici purpurei, su cui si scriveva con inchiostro oro e argento. In cosmetica tingeva viso e labbra. La produzione decadde nel XV secolo e la porpora fu sostituta da varie miscele succedanee tanto che se ne dimenticò origine e metodo di produzione intuiti appena nel 1833 da Bartolomeo Bizio, un farmacista veneto appassionato di chimica.
Ultima modifica: 7 Ottobre 2020