La storia della gomma che usiamo per cancellare inizia con il caucciù, l’essudato dell’albero della gomma, importato dalle Americhe dove era utilizzato per molti usi. Alle nostre latitudini però il caucciù è appiccicoso d’estate e rigido nei mesi freddi quindi per un paio di secoli non trovò utilizzi. Sarà la casuale scoperta della vulcanizzazione, cioè riscaldamento e aggiunta di zolfo, che conferirà al lattice quelle caratteristiche di elasticità e resistenza che conosciamo in tante applicazioni. Anche la gomma da cancellare è il risultato della miscelazione di caucciù, zolfo, olii e pigmenti sottoposti a calore crescente fino alla consistenza voluta. La più morbida, detta gomma pane a ricordo della mollica che si utilizzava un tempo per lo stesso utilizzo, assorbe le particelle di grafite o carboncino e le ingloba. Le gomme rigide invece contengono polveri, come il carbonato di calcio, e cancellano per abrasione, per sottrazione di parti superficiali di carta. La scoperta del polipropilene, per cui il chimico Natta prese il Nobel nel 1963, sostituì e migliorò le prestazioni della gomma di origine naturale e anche le gomme da cancellare divennero sintetiche. In restauro la gomma, anche sotto forma di polvere è utilizzata per puliture di superfici cartacee, dipinti su tavola, tela e murali, stucchi e pellicole pittoriche delicate non resistenti all’apporto di umidità, dry cleaning. L’azione è meccanica quindi, per rimuovere i depositi senza fare danni, vanno considerate sia la durezza e la granulometria delle polveri che la loro capacità abrasiva nei confronti delle superfici.
Ultima modifica: 7 Ottobre 2020