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Pillole di conservazione

#44 – La gomma da cancellare

La storia della gomma che usiamo per cancellare inizia con il caucciù, l’essudato dell’albero della gomma, importato dalle Americhe dove era utilizzato per molti usi. Alle nostre latitudini però il caucciù è appiccicoso d’estate e rigido nei mesi freddi quindi per un paio di secoli non trovò utilizzi. Sarà la casuale scoperta della vulcanizzazione, cioè riscaldamento e aggiunta di zolfo, che conferirà al lattice quelle caratteristiche di elasticità e resistenza che conosciamo in tante applicazioni. Anche la gomma da cancellare è il risultato della miscelazione di caucciù, zolfo, olii e pigmenti sottoposti a calore crescente fino alla consistenza voluta. La più morbida, detta gomma pane a ricordo della mollica che si utilizzava un tempo per lo stesso utilizzo, assorbe le particelle di grafite o carboncino e le ingloba. Le gomme rigide invece contengono polveri, come il carbonato di calcio, e cancellano per abrasione, per sottrazione di parti superficiali di carta. La scoperta del polipropilene, per cui il chimico Natta prese il Nobel nel 1963, sostituì e migliorò le prestazioni della gomma di origine naturale e anche le gomme da cancellare divennero sintetiche. In restauro la gomma, anche sotto forma di polvere è utilizzata per puliture di superfici cartacee, dipinti su tavola, tela e murali, stucchi e pellicole pittoriche delicate non resistenti all’apporto di umidità, dry cleaning. L’azione è meccanica quindi, per rimuovere i depositi senza fare danni, vanno considerate sia la durezza e la granulometria delle polveri che la loro capacità abrasiva nei confronti delle superfici.

Ultima modifica: 7 Ottobre 2020